martedì 22 aprile 2014

The Clash: “The Rise And Fall Of The Clash” (Warner Dvd, 2014).

Alla fine c’era bisogno di qualcosa o qualcuno che parlasse ancora dei Clash?
O è solo un altro bieco sistema per fare cassetto negli anni della crisi?
Non potevano lasciarci sognare idoli intonsi, seppur all’imbrunire, con le loro pieghe sanguigne di esseri speciali?
Dopo l’uscita nei negozi dell’ennesima ristampona globale, e va da sé buona per completist pipparoli, a nome “Boombox” eccoci arrivati ad un nuovo episodio della saga Strummer/Jones.
Proprio come in Beautiful dopo il The End iniziano sequel, prequel, director’s cut, comunicati stampa dell’amante del regista e vaibbello.
Non che il documentario firmato da Danny Garcia non sia bello ed esaustivo, con stralci inediti e prospettive laterali, solo che la faccenda magari era meglio liquidarla con quel “Il Futuro Non E’ Scritto” del 2008.
Un quadretto amabile, una testimonianza densa e agrodolce sull’epopea di un rocker e la sua band, in predicato di diventare pura leggenda, disintegratisi per futili motivi cui nemmeno noi, umile gentaccia senza il Magic Touch, siamo immuni nel quotidiano: denaro, ego, divergenze artistiche e scazzo supremo a coprire tutto come una tenda nera.
Dunque “The Rise And Fall Of The Clash” riparte da lì.
Dalla spietata cronaca di questa dissoluzione che, nel bene o nel male, ha travolto una generazione che al famigerato “Cambiamento” credeva davvero.
Nonostante il contratto con la Cbs, nonostante i proclami Marxisti spesso fraintesi o fuori tempo massimo, nonostante i dischi di merda che pure ci sono.
Novanta minuti circa, per il sottoscritto non proprio scorrevolissimi, che fanno riflettere sulla crudeltà dello showbiz, sui meccanismi che lo governano, e sull’universo delle amicizie ad orologeria. Con un che di sadico voyeurismo che tumula, forse in via definitiva, ogni ordine di questioni lasciate in sospeso.
Impietosamente.
Dopo i titoli di coda resta così il retrogusto disarmante dell’ordinaria follia, la palpabile consapevolezza dell’impossibilità di un rewind spazio temporale nei territori dell’età dell’oro.
Banditi per sempre gli sguardi limpidi e i sorrisi incerti, altre piccole crepe si aprono nel mito che i Clash hanno saputo indossare con scaltra scioltezza per oltre trent’anni.
E il succo sta tutto qui.
“The Rise And Fall Of The Clash” brilla senza alcun dubbio, ma di una bellezza cinica e assassina.

Davide Monteverdi aka Deejay Dave.

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